La mamma è sempre la mamma. Lo so

Quanti anni sono che mi dedico alla fotografia? Tanti, davvero tanti. Iniziai che avevo più o meno dodici anni, lo sanno tutti. Solo adesso, però, mi sto rendendo conto che in tutto questo tempo non sono mai riuscito a fare delle foto decenti a mamma. Mai. Eppure lei avrebbe voluto, le sarebbe piaciuto, ma io…bloccato, ero bloccato. Forse la sua forte personalità, forse il fatto di averla così vicino mi impediva di “vederla”. Già, vederla. Trovare in lei il lato più rappresentativo, il più significante, quello che l’avrebbe resa immediatamente riconoscibile, oppure, chissà, un suo lato oscuro. Certo che l’ho fotografata ma istantanee, durante le prove di uno spettacolo, oppure in un momento rilassato in famiglia, le feste comandate, cose così, insomma fotine. Nessuna foto significativa, no, proprio nessuna. Eppure ne sarei stato capace, sì, ne sono sicuro: ne sarei stato capace. Forse il problema con mamma era il confronto, lei così forte, determinata, indomabile, che per me rappresentava un modello irraggiungibile, inarrivabile. Lei sapeva sempre tutto, le sue opinioni non erano semplici opinioni, erano la “verità”, certo la sua verità, ma pur sempre verità. Una madre castrante? Non direi, era affatto castrante, era un pungolo a fare di più, e meglio, sempre di più e sempre meglio. Mai accontentarsi, mai. Mai fare solo “il possibile”, voleva, pretendeva, sempre l’impossibile, e lo raggiungeva, eccome se lo raggiungeva. Una volta riuscì a danzare con un piede rotto, sulle punte… Aveva un tale controllo sul dolore…una tale determinazione in tutto quello in cui si appassionava. Un modello inarrivabile, anche per noi che ne condividiamo il DNA, che ne siamo stati forgiati. Ci avrebbe voluti tutti danzatori, e invece non le è stato possibile. Troppo schivo io per affrontare un palcoscenico, troppo robusto l’altro fratello, mentre Marco, Marco… si forse lui avrebbe potuto, ma la vita va sempre in modo imprevedibile, e poi, all’improvviso, finisce. Le uniche foto di mamma degne di una qualche nota gliele ho fatte quando ormai era troppo tardi, una la notte precedente la sua morte, e l’altra quando era già nella bara, con la sua camicetta cinese di seta e oro cui teneva tanto. E c’è chi mi ha detto “sembrava che ti fosse morto il gatto”.

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