Teonanacatl forever!

 A quanti di voi piacciono i ragni? Qualcuno li trova “belli”, oppure meglio, “appetitosi”? Eppure in Brasile i ragni sono considerati commestibili, anzi, ottimi. Soprattutto certi grossi ragni pelosi che i miei compagni di gioco chiamavano “pollastrelli”. Il nomignolo non era casuale, erano proprio considerati “polli”, quando li incontravamo nella strada o nel prato davanti casa, c’era sempre un ragazzino che gli metteva il palmo della mano sul dorso, come si fa con i granchi, poi gli staccava la testa con il pollice, lo infilzava su un legnetto a mo’ di spiedino e se lo cuoceva su un fuocherello bruciandogli i peli velenosi del dorso, per poi mangiarselo avidamente. Capitò anche a papà, che andando a cercare nel Mato Grosso artigianato indigeno con dei suoi amici fu ospitato da una tribù e, trattenuto a pranzo, gli furono offerte particolari squisitezze, come grossi bruchi cotti in foglia di banano e, appunto, spiedini di grossi ragni. Inutile dire che dovettero fare buon viso, e, seppure riluttanti, mangiarono quanto gli veniva offerto.  Quando papà ci raccontò il fatto, mamma si ritrasse inorridita, io invece gli chiesi, semplicemente, se li aveva trovati buoni, se il sapore gli avesse ricordato qualcosa. “Ne avrei volentieri fatto a meno” fu la sua lapidaria risposta. Io da parte mia se avevo la (s)fortuna di incontrarne uno, magari uno femmina con il dorso coperto da una miriade di figli minuscoli, immediatamente lo uccidevo con una mattonata, per poi accanirmi sui ragnetti in fuga per ogni dove. Arrivò poi il giorno in cui uno di questi ragni vendicò tutti i suoi parenti da me ingiustamente uccisi. Davanti casa, a Rua Silvia 418, c’era un piccolo pezzo di prato, in realtà un terreno polveroso che terminava in una ripida discesa di terra rossa, dove noi giocavamo con delle specie di slittini che assicuravamo con una corda ad un paletto piantato sul piano. La corda aveva un doppio scopo, serviva per risalire la china, altrimenti troppo scivolosa, e per non arrivare al limite della boscaglia che si trovava alla base della china. Tra la boscaglia e la discesa era il territorio di certi grossi ragni marroni che abitavano dei buchi nel terreno, buchi mimetizzati con dei tappi di seta e sassetti e da cui i ragni uscivano rapidi quando un insetto, un topolino o un altra preda passava alla loro portata, segnalando la sua presenza inciampando nei robusti fili/trappola che il ragno aveva posizionato in ogni direzione. Quel giorno Xuni, o Luis Carlos decisero di farmi uno scherzo: tolsero il paletto a cui era assicurato lo slittino e così attraversai proprio il territorio dei ragni, fermandomi sui primi cespugli che lo limitavano. Cercai di allontanarmi subito, i ragni non mi piacevano affatto, vidi un rampicante che scendeva dalla sommità della discesa, lo afferrai e, piano piano, cercando solo di non strapparlo, ero già riuscito a percorrere un due o tre metri quando mi accorsi che uno dei fili trappola del ragno mi si era impicciato sulla chiusura del sandaletto e, con orrore, vidi pure che un ragno, un grosso ragno, stava risalendo, piano piano, il filo. Cercai di accelerare, con il risultato che riuscii solo a strappare il fragile rampicante e a scivolare, a quattro di bastoni, verso il ragnaccio. Mi immobilizzai, come mi avevano insegnato a fare a scuola, e sentii il ragno camminarmi sulla gamba, era pesante, le zampette aguzze, e io ero con i calzoncini corti, una maglietta che scivolando si era mezza tolta lasciandomi la schiena scoperta. Il ragno percorse tutto il corpo, poi continuò sul braccio destro. Chissà dove stava andando, io non riuscii più a stare fermo, cercai di scrollarmelo di dosso. Mi morse. Svenni. Mi ritrovai con Xuni che con un legnetto mi scorticava la pelle dove mi aveva morso, cercando di succhiare via il veleno… mi venne una febbre altissima, finii in ospedale. Ne uscii guarito nel corpo, ma ormai preda di un aracnofobia davvero esagerata, bastava la sola presenza di un minuscolo innocuo ragnetto a farmi dare i numeri, perdere completamente il controllo. Con il tempo l’aracnofobia scese di intensità, ma ne ero ancora preda quando conobbi, casualmente, uno steward delle linee aeree colombiane, o forse peruane, non ricordo bene, Fabian, si chiamava così, aveva tutte le caratteristiche fisiche di un indio e certamente lo era, gli piaceva andare a zonzo senza meta, soprattutto nottetempo, per Roma. In una di queste passeggiate si rese conto del mio orrore per i ragni, che io non potevo spiegare perchè avevo completamente rimosso quanto mi era accaduto da ragazzino. Lui lavorava per una compagnia “povera” e faceva tappa a Roma abbastanza spesso con soste a volte lunghe. In una di queste soste, era novembre, mi portò una “sorpresa” mi disse che si trattava di un fungo, “la carne di Dio”, e mi raccontò che in una certa stazione della vita, nel passaggio tra l’età giovane e quella adulta, proprio nel mese di novembre, gli indios mangiano questo funghetto per “ricongiungersi agli antenati”, per “superare le paure”, e quindi anche i ragni, pensai… Mi fidai, e feci bene. L’effetto del fungo durò una notte intera, in cui rivissi tutta la mia vita, dalla nascita (sensazione di compressione, luce rossa, bruciore) a suoni deformati (voci alte dei miei genitori) e tutti gli eventi che mi avevano “toccato” maggiormente , tra cui il morso del ragno, al rallenty e il resto, invece, accelerato. Come alla moviola, 22 anni di vita alla moviola. Aprii tutti i cassetti della memoria, riordinai il contenuto e piano, piano, nel giro di un paio di settimane riuscii a richiuderli  e a tornare lucido. L’aracnofobia? Esorcizzata.Sparita, certo i ragni mi fanno ancora un po’ schifo. Perché, a voi piacciono?

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...