Ricordi ascellari

Ettore, come un altro me.

Ho sempre letto molto, soprattutto da ragazzino. La nostra casa in Brasile era piena di libri, ricordo che ce n’erano parecchi di autori italiani, di Verga, di Pirandello, le poesie di Trilussa (con traduzione in portoghese a fronte) e poi Brancati e altri che non ricordo. A casa, ovviamente in portoghese, c’erano pure alcuni libri di Jorge Amado. Li divoravo letteralmente, nonostante non si possano proprio definire libri adatti ai ragazzini. Li leggevo di nascosto ovviamente, perché se la terribile Donna Gilda se ne fosse accorta, chissà cosa mi avrebbe fatto. Comunque anche i miei leggevano Amado senza farsi troppo notare. Ricordo dei nostri amici, adulti ovviamente, che venivano da noi a cercare/scambiare il prestito di questi libri, che il Brasile, ancora formalmente “democratico”, non apprezzava. Erano praticamente introvabili. Poi negli anni ‘70 si arrivò al rogo dei libri di Amado. Ma ormai noi eravamo già in Italia da oltre un decennio. Certo da ragazzino quelle letture, unite all’ambiente che frequentava casa nostra, alle passeggiate con la Rita sempre con un codazzo di corteggiatori, quando non addirittura amoreggiando con uno più apprezzato di altri, mi scombussolarono un po’. Non avevo neppure otto anni e già le cose della vita mi erano familiari: sapevo tutto. E tutto mi incuriosiva, spingendomi ad ulteriori scoperte. Avevo certo più occasioni di altri. Da piccolo i camerini delle danzatrici non mi erano proibiti ed ero spesso a teatro, sia nel periodo di prove che prima delle rappresentazioni. Occhieggiavo, quindi, quelle belle ragazze quando si vestivano di scena e, quando, dopo la rappresentazione, si spogliavano e correvano a farsi una doccia. Era in quel momento che i loro costumi, bagnati di sudore (in Brasile fa assai caldo) e appesi in camerino erano a mia completa disposizione. E io, appoggiando le narici sulla zona ascellare, mi inebriavo di tanta delizia. Certo, avevo le mie preferite, alcune che nell’afrore, evidentemente, abbondavano di un qualche ormone, un feromone, un attrattore sessuale che a me, sebbene bambino, risultava irresistibile. Adoravo quei momenti, per me allora facilmente replicabili, e nessuno si accorse mai di quanto fosse poco innocente il mio girovagare per i camerini. Ma ero pur sempre un ragazzino e quindi tutto restava in un indefinito turbamento solo mentale. Niente di materiale, nulla qualificabile, definibile come “sesso”, attività sessuale. Tutto finì con il ritorno in Italia. Tornai bambino in Italia? Sì e no, perchè l’inizio della pubertà incombeva e il ricordo di quei camerini, della Rita con i suoi amanti, dei profumi, dei corpi delle giovani danzatrici tornava a turbarmi. Adesso sì, in modo decisamente inquietante. Come rimedio tornai alla lettura, nella biblioteca dell’Ambasciata del Brasile a Piazza Navona, sempre aperta al pubblico. Ci passavo i pomeriggi su quei libri tutti scritti nella lingua che capivo meglio, il portoghese. Ricordo di aver letto, integralmente, una versione de “Le mille e una notte” riedita da una versione del X secolo, dove non appariva nè Alì Babà, ne Aladdin e neppure Sinbad, ma tante note e rimandi in cui potevo sapere, capire tante cose sulle dinamiche uomo/donna. Rendiamoci conto, noi che ci riteniamo civili, moderni ed emancipati, che ne sapevano più persiani e mesopotamici di mille e più anni fa di quanto ne sappiamo oggi noi, cittadini del terzo millennio. Sempre in Biblioteca, in quei mesi, sprofondai nella lettura dei “Tre saggi sulla teoria sessuale” di Freud ritrovandomi d’accordo su una verità banale: il bambino è un essere completamente sessuato, lo ero stato io, coscientemente, non essendo frenato da nessuno e da nessuna imposizione, lo devono essere anche gli altri, ma ovviamente castrati da un moralismo imperante. Non volevo diventare un adulto represso e problematico. Mi ci sono messo d’impegno, tutta la vita, per poi scoprire che Freud, come tanti, faceva solo congetture, ipotesi. E io che credevo di aver strappato il velo del Maya, inebriandomi nelle ascelle delle danzatrici.

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