Una gradita sorpresa

Quando ero ragazzino mangiavo poco, ero inappetente, a furia di insistere riuscirono a farmi mangiare alcuni cibi. Poche cose, ma tra queste c’era qualcosa cui non potevo resistere, qualcosa che dovevano per forza nascondermi: il doce de leite. Sì, il doce de leite mi faceva letteralmente impazzire, ma non si può vivere di solo dolce e quindi, su consiglio del medico, mi sottoposero ad una drastica cura per farmi “tornare” l’appetito, quell’appetito che non avevo mai avuto. Già, due iniezioni al giorno, tutti i giorni per due lunghi mesi furono sufficienti a convincermi che in fondo il cibo non era poi così male. Certo non fu una passeggiata, non lo fu per me che ero magrolino e neppure per il medico, che infatti doveva riuscire ad agguantarmi e a farmi rilassare prima di infilzarmi. Un paio di volte ho addirittura causato la rottura dell’ago della siringa. Per non tornare sotto le grinfie del medico fui costretto a fingere un appetito che invece continuava a latitare, e quindi presi a decidere ogni giorno il menù, sì, insomma, cosa avrei gradito per pranzo e per cena. La colazione era cosa facile, una fetta di pane spalmata di doce de leite e una chique-chique, con un pizzico di sale, come al solito. Optai subito per mangiare più frutta, e quindi, mamão, abacate, goiaba, abacaxi, manga, morango, biribà, jabuticaba, larannja, jaca, maracujà, una varietà infinita di frutta tropicale squisita, di sapori, di consistenze. E le banane, tante varietà, diversissime per dimensione, sapore, colore. Alcune davvero squisite, altre meno, ma ottime da cuocere in forno, alcune, più dure, addirittura da friggere e salare, come le patatine. Arrivati in Italia tutta questa varietà di frutta non c’era, era introvabile, le banane… insignificanti, gli avocadi così così, le ananas insipide, scoprii però che qui c’erano tante altre cose, le ciliegie che a Sao Paulo erano incartate una per una e qui invece addirittura a mucchi sui banchi del mercato e le arance, i mandarini. Deliziosi. Insomma, mi consolai presto e con gusto. Il pane imburrato e spadellato, il pane chique-chique del mattino, lo potevo avere anche qui, ma il doce de leite? No, questo non si trovava e nessuno ne conosceva la ricetta, non i miei che a Sao Paulo di certo non avevano il tempo di cucinare e poi lì, a rua Silvia, c’era la Rita, l’ottima giovane cuoca baiana, che della cucina era la regina. La nostalgia, la saudade, però mi stringeva il cuore e la gola e continuavo a chiedere a tutti gli amici dei miei la ricetta del doce de leite. Alla fine mi salvò Paolo Vasta, un amico di papà, che, appena arrivato dal Brasile e di passaggio a Roma, mi rivelò un metodo rapido e semplice per realizzarlo. Serviva una scatoletta di latte condensato zuccherato, bisognava cuocerla a bagnomaria per due o tre ore e voilà, un ottimo dolce di latte da spalmare sul pane. Non esattamente come quello fatto facendo sobbollire ore e ore il latte e lo zucchero, mescolando continuamente per non farlo attaccare, ma insomma decisamente godibile. Feci subito delle prove, tentai varie durate di cottura, fino a definire quella veramente giusta e poi…yoummm. Un giorno per fare una sorpresa a mamma al suo rientro dalla scuola di danza, decisi di farle trovare il doce de leite, misi la pentola sul fuoco, la scatoletta a bagnomaria e uscii, mi dimenticai della pentola sul fuoco, finita l’acqua la scatoletta esplose, inondando la cucina, il soffitto, i mobiletti di latte condensato caramellato, migliaia di formiche arrivarono prima di me e di mamma: una scena  apocalittica. Fu davvero una sorpresa, ma non particolarmente gradita.

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