Sopravvivere

Ceres Ramos, è Aletto, una delle tre Erinni. 1992

Sono sempre stato fortunato, fin da piccolo. Ho avuto la fortuna di essere figlio unico fino ai dodici anni, così da non sovraccaricare di lavoro la mia perfida istitutrice, l’Erinni vivente che riversava su di me, ben concentrato, tutto l’odio che poteva avere per i miei genitori artisti, e borghesi, e quindi da punire, secondo lei. Davvero una colpa grave, meritevole del peggior castigo, applicato secondo regole mafiose, trasversalmente, su un congiunto, visto che i miei, pur colpevoli, le passavano lo stipendio e quindi erano intoccabili, una busta paga sicura, precisa, puntuale. E cospicua, presumo. Donna Gilda si faceva chiamare, e diceva di essere una nobildonna ligure in disgrazia, in realtà credo fosse scappata dall’Europa in sudamerica come tanti altri nazisti. Figurarsi quanto potesse essere contenta di trovarsi alle dipendenze di due artisti, di due persone libere, aperte, socievoli, in una casa frequentata da altri artisti, danzatori, pittori, musicisti… insomma gente infima, di ogni risma. Ai suoi occhi gente sicuramente immorale, figuriamoci, forse addirittura socialisti, o peggio. Già, perchè in casa c’erano tanti libri, Pirandello, le poesie di Trilussa, e quasi l’intera produzione di Jorge Amado, lui sì certamente comunista. Libri da bruciare, pensava. Io invece li adoravo, li leggevo, avidamente, e proprio per questo, forse, nonostante l’incombente Donna Gilda, sono cresciuto più o meno bene, più o meno felice. Oddio, fin da piccolo le angherie che ero costretto a subire mi avevano portato ad avere tendenze suicide, mi ubriacavo spesso, mi stordivo, attaccandomi ad una bottiglia di cachaca, nascosta in un armadietto dei saponi, in cucina. Questione di sopravvivenza, istinto. Così stordito infatti, non potevo concentrarmi sulle modalità dell’incipiente suicidio, e, piano piano, sono riuscito ad arrivare ai dodici anni. Ma ormai eravamo in Italia, non c’era più la mia bottiglia di alcol nascosta e neppure la terribile donna, l’istitutrice. Salvo, ero salvo. Rinviavo quindi al raggiungimento della maggiore età il suicidio, provando a godermi, per quanto possibile, l’esistenza. Sì, l’atto finale non era ancora stato accantonato, solo rinviato, tanto per concedermi il tempo di vedere cosa sarebbe successo nel frattempo. Arrivai ai ventuno anni, età nefasta, età dell’ipotetico appuntamento con il suicidio, ma, ahimè, mi innamorai e quindi fui costretto a rinviare. Non ci si suicida mai da innamorati, forse a volte insieme, se l’amore è ostacolato. Ma questo non lo era, o almeno, non sembrava esserlo. Non davo molto peso al fatto che il papà di lei mi avesse come il fumo negli occhi, e che potesse mettere in atto un piano per separarci, ma lo fece, e gli riuscì. Sprofondai in una crisi depressiva e iniziai a riconsiderare il modo di farmi fuori, di farla finita, di uccidermi. Possedevo un arma da guerra, ero esperto e sapevo fare esplosivi micidiali, conoscevo approfonditamente ogni tipo di pianta o fungo velenoso, ma non avevo alcuna intenzione di provare dolore, soffrire, esplodere. Stavo per considerare il taglio delle vene, silenzioso, quasi piacevole… una vasca piena di acqua calda, un paio di bicchieri di un superalcolico, una lametta. Facilissimo, forse addirittura piacevole, ma troppo femminile. E  arrivò lei, bellissima, bionda, friulana. Bella e pazza quanto bastava, e ripersi la testa. Lasciai perdere le modalità del suicidio, anzi, non ci pensai proprio più. Mi salvò la vita forse, ripresi anche a lavorare alacremente, cosa che da depresso avevo del tutto accantonato, e obnubilato com’ero non mi accorsi subito di aver trovato un’altra Erinni, e questa volta molto vicina, troppo vicina, addirittura nello stesso letto. Non che fosse cattiva, come l’altra, come Donna Gilda, anzi, era  una donna interessante, geniale, piena di talento, dolce e generosa, con un sacco di capacità fuori dal comune. Ma c’erano tante, troppe incompatibilità, lati del mio carattere a cui non volevo rinunciare, la libertà di pensiero, le idee stupide, un certo modo easy di vivere la vita e lei su questi punti diventava violenta, intransigente, implacabile. Durò quindici anni la convivenza con quest’ultima Erinni, quindici anni, un’eternità, ma furono anni belli, intensi, che mi arricchirono interiormente e, contemporaneamente, mi annichilirono. Ci lasciammo, il ritorno alla vita fu interessante, come resuscitare. E pensare che non mi ero neppure suicidato.

2 pensieri riguardo “Sopravvivere

  1. E dagli almeno un nome allora.
    La prima di certo è Megera (invidia e gelosia, delitto…) Anziana, brutta e perfida. Irredimibile.
    Ma la seconda? Piuttosto forse Furia incolpevole, una menade folle.
    .
    Aletto? “l’indicibile”, “colei il cui nome non può essere pronunciato”.
    O Tisifone guardiana dei cancelli del Tartaro con la testa di serpenti?

    Meglio comunque chiamarla una Eumenide, come solevano gli antichi, per placare…

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