
Non ricordo bene come iniziò, ma già da adolescente avevo preso la decisione di non decidere niente, di non avere obiettivi precisi, insomma di prendere le cose così come mi si presentavano. Non sapevo ancora che questa scelta avrebbe condizionato in seguito tutta la mia vita, a partire dagli amori. Già, gli amori. Come si fa a non inseguire un capriccio, a non corteggiare assiduamente una ragazza che ci piace e di cui ci stiamo già interessando? Si può, eccome se si può. Basta non correrle dietro, restare immobili, distanti e anche un po’ sfuggenti: nulla è più attrattivo di quello che ci sfugge, che fatichiamo a capire, della persona che scappa. Alla fine la curiosità avrà la meglio e sarà lei, la ragazza, a fare la prima mossa, a tentare di scuoterci e a ottenere una reazione. Ma la mia non è mai stata una strategia, un modus operandi. Restare indifferente mi è sempre stato congeniale, non ho mai fatto nessuno sforzo, nessuna fatica e in un mondo in cui tutti inseguono, insistono e ci provano con particolare accanimento, l’indifferenza è sempre stata, per me almeno, la scelta migliore. L’unica che mi abbia sempre messo in condizione di scegliere, con ponderatezza e maggiore attenzione, a chi o a cosa cedere, dare attenzione. Abitavamo a Roma, a via Cortina D’Ampezzo, e ricordo che allora ero assai silenzioso, schivo, e che mi rifugiavo nei boschi intorno casa a cercare qualcosa di interessante, nulla di preciso, solo quello che mi si parava davanti, ed è stato proprio così, per caso, che ho scoperto l’esistenza dei moscardini, piccoli graziosi ghiri rossastri che nidificavano nell’intrico dei rampicanti, di deliziosi frutti selvatici e di intere colonie di granchi di terra che abitavano il limitare di un bosco, dove il continuo trasudo di acqua della collina sovrastante creava una piccola zona umida. Questo mio girovagare tra i boschi era ovviamente al centro dei miei racconti e dell’inevitabile scherno dei miei amici. L’unica a non riderne era Titilla, l’unica che si dimostrasse mia amica nel gruppo, che un bel giorno decise di accompagnarmi nella lunga scarpinata la cui meta era la colonia dei granchi. “Titilla, ma che nome è”, le chiesi, “sembra una marca di pasticche per la gola”. La mia domanda, sufficientemente inopportuna, mise più in imbarazzo me che lei, e infatti subito rispose: “Pastiglie per la gola? Sono sicula, lo sai, e Titilla è un vezzeggiativo, all’anagrafe mi chiamo Caterina”. Mi sembrava seccata per la mia domanda, e accellerai il passo, come a lasciare indietro l’imbarazzante momento. Attraversammo forre intricate, fossi e marrane prima di arrivare al centro dell’Insugherata. “I granchi a Monte Mario, ma ddai… raccontane un altra…” Stavo facendo la figura del cretino, oppure chissà, forse tra sé e sé era convinta che i miei racconti fossero un trucco, un pretesto per portarla in camporella. Comunque si rivelò più agile e robusta di quanto pensassi, e ben presto arrivammo laggiù, ai piedi della collina dei granchi, senza che l’abbia mai sentita lamentarsi durante il percorso. “Ecco, siamo arrivati” le dissi “vedi nel fango quei buchi da cui piano piano sgorga l’acqua, quelli con quei piccoli segni sul bordo? I granchi sono proprio lì, e se non ci credi…” Lei mi scrutò incredula con i suoi grandi occhi neri, io allora infilai il braccio fino alla spalla in uno di quei buchi fangosi e pieni d’acqua e ne tirai fuori, orgoglioso, un grosso granchio verdastro. Lei era lì, in piedi, con le scarpette affondate nel fango, le labbra rosse rosse e gli occhi pieni di ammirazione. Avrei dovuto baciarla, sono sicuro che era quello il solo motivo per cui era venuta fin laggiù, quello che lei si aspettava, non i granchi! Invece io volevo solo catturare l’ennesimo granchio e, una volta tanto, davanti ad un testimone attendibile. Lei non capì e neppure apprezzò. Si offese a morte per la mia totale indifferenza alle sue grazie e, con la rabbia che le stravolgeva il viso, girò i tacchi e corse via, singhiozzando “si’ nu strunzu, nu strunzu e iu ‘na cretina a datti retta…”. Era bella, una siciliana dalla pelle ambrata e dai lunghi capelli neri, “nivora e orgogliosa” come da tradizione, ma per me era solo un amico. E poi… ma vuoi mettere catturare un granchio a Monte Mario?