Poeti di piombo,Ranxerox,la crisi

Eravamo a metà anni ‘70, in Italia imperversavano gli “anni di piombo”, e c’era pure la crisi degli idrocarburi, l’austerity. Non erano anni facili. Noi, io e Daniela, subivamo anche la crisi del cambiamento d’attività. Avevo infatti lasciato il lavoro nel cinema ormai da tempo e anche la “società fotografica” con Luigi si era chiusa bruscamente. Divergenze importanti e protagonismi inaccettabili. Peccato. Daniela lavorava, si, ma in teatro underground, e di soldi… figuriamoci. Poi eravamo sempre in giro, vorticosamente. Chi lascia Roma perde Roma, diceva Carmelo Bene e noi, che eravamo parte del sangue pulsante della città eterna, non la lasciavamo. Il sangue deve scorrere e noi ci davamo da fare per aiutarlo. Qualunque cosa, tranne che cercarci un lavoro “onesto” come avrebbe detto una qualche vecchia zia. Erano gli anni di RanXerox, il coatto sintetico uscito dalla penna di Tanino Liberatore e Stefano Tamburini, gli anni  di Andrea Pazienza, del Male (che era il nostro vicino di casa) di Frigidaire. Non frequentavo né conoscevo Stefano Tamburini, ma mentre lui disegnava Lubna, la “fidanzata” di RanXerox, io fotografavo la vera Lubna che lo aveva ispirato, una ragazza italo-pachistana che girava per Roma, cui avevo fatto indossare delle opere di Paolo Buggiani, l’Arte Indossabile! Ecco il magma culturale in cui eravamo tutti immersi, in cui tutti nuotavamo, attori attenti e contemporaneamente comparse incuranti a quanto ci stava accadendo accanto. Roma era diversa, molto diversa. Ad alto potenziale. In una vineria a via di Tor Millina ti trovavi a bere un vinaccio con Gregory Corso, già totalmente ubriaco, e più tardi all’Alberichino, un piccolo teatro/cantina dell’Alberico, ti godevi i primi passi di Benigni impegnato in un monologo del Ciani sotto una semplice lampadina appesa al soffitto. Un altro giorno al Beat 72 eri seduto accanto ad un mito come Michelangelo Antonioni, senza che neppure ti passasse per la testa di importunarlo con richieste banali. Era tutto molto bello, interessante, divertente. Ma i soldi, che non c’erano mai, cominciarono a stufarci davvero. Non che i soldi ci piacessero particolarmente, ma certo sarebbero serviti, quindi alla ricerca di una svolta definitiva intrapresi una nuova attività, il broker di materie prime. Bastava avere una serie di relazioni qui e altre aldilà dell’oceano, ad esempio in sudamerica. E io le avevo. Serviva anche una certa capacità di bluffare, oltre a sfrontatezza e incoscienza, che di certo non mi mancavano. Imparai ad usare il telex e iniziai a millantare richieste di… per poi cercare a chi piazzare le merci a qualcuno qui in Italia, sempre utilizzando la rete di amicizie. Insomma il mio ruolo era far incontrare la richiesta con l’offerta. Durò tre anni, in cui trattai di tutto, carni congelate dall’Argentina, caffè dal Brasile, mutandine e bikini sempre dal Brasile, tonno dall’Ecuador. Vagonate di tessuto jeans, provenienti dal sudamerica, e già disponibili in Svizzera. I soldi giravano, erano facili, troppo facili. E infatti…un bel giorno il tale che mi aveva inviato il tonno dall’Ecuador mi accenna l’intenzione di esportare direttamente in Italia le banane. Costui aveva una piantagione immensa, ma vendeva agli americani, ad un prezzo stabilito, imposto, dagli stessi acquirenti. Mi incarica quindi di reperire un porto in Italia, costa tirrenica (evitando i porti “importanti”), un’area di stoccaggio da cui far partire i camion per le consegne, etc. Insomma l’imprenditore ecuadoriano voleva avere le mani libere e organizzare autonomamente le esportazioni verso l’Italia, l’Europa. Trovai il porto idoneo, Civitavecchia, che allora era davvero sottoutilizzato, il terreno dove posizionare l’area di stoccaggio quasi gratis e addirittura a pochi chilometri. Ero già in procinto di chiudere i contratti quando vengo contattato da un tale (non ricordo il nome, ma anche se me lo ricordassi non lo direi), che mi chiede informazioni su una merce di cui avevo da poco ricevuto l’incarico di vendita e mi dà appuntamento per il giorno successivo per accompagnarmi a concludere la vendita. Arriva a prendermi con un Alfetta blindata colore beige, un tipo alto, robusto, e ben vestito, ma con un certo non so che di inquietante. Insomma divento un po’ guardingo, entro e scorgo nell’auto, ben custodita in una fondina incollata sul tappetino accanto alla leva del cambio, una grossa pistola, lui si accorge del mio disappunto, ma fa finta di nulla. Finalmente arriviamo sul luogo dell’appuntamento, uno dei grandi hotel romani, con il fantomatico cliente, che si mostra davvero interessato all’acquisto. Concludiamo senza alcun problema l’affare, poi il tale mi riaccompagna al mio ufficio e strada facendo mi dice, con un tono tra il paterno e l’aggressivo “Blasi, lei è giovane, ha visto come è facile concludere buoni affari? Dia retta a me, come fossi suo padre, lasci perdere le banane, c’è gente pericolosa dietro questa merce, molto pericolosa, e organizzata. Lasci perdere…” Le sue parole mi suonarono come una minaccia, chissà cosa, chi, c’era dietro le banane. Vox populi diceva che… Chiamai il mio cliente ecuadoriano, non appena mi fu possibile e lui, senza neppure lasciarmi il tempo di parlare: “Sono arrivati anche da te i gringos, vero?”. Si, effettivamente le banane erano pericolose, molto.

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