
Lo sanno tutti, a Roma, passata la mezzanotte si accende la voglia di cornetti caldi, o forse è meglio dire si accendeva. Credo che purtroppo, con tutte le burocrazie, i salutismi, le fisime e altre menate sul disturbo della quiete pubblica questo rito sia ormai morto e sepolto. Ricordo con nostalgia un paio di posti davvero da premio, uno dalle parti di piazza Cavour, e l’altro al quartiere Monti… Poi, con un certo senso, ricordo un altro posto, un bar dalle parti di Piazzale della Radio, che era diventato famoso per i maritozzi con la panna, ovviamente sempre a notte fonda. “Altro che i maritozzi de Romoli” mi disse un amico che se ne intendeva “questi sò sublimi, e poi Romoli solo dè ggiorno, dall’artra parte de Roma…” Era vero, erano davvero particolari, ottimi. Aveva bussato a casa che erano le due di notte “t’ho portato du maritozzi, caa panna, ansenti che robba”. Sì, era un tipetto verace, gli piaceva essere, fare, il romano trucido più di quanto non lo fosse veramente, e quindi la pesante calata dialettale era d’obbligo. Ma era laureato in legge, credo, o qualcosa di simile e di giorno era irriconoscibile: giacca, cravatta d’ordinanza, scarpe lucidissime. Impeccabile. Un vero professionista di giorno, di notte mister Hide. Comunque i maritozzi meritavano, davvero. Non aspettai il mattino come sarebbe stato meglio, ce li sgargarozzammo lì per lì. Ovviamente arciconvinto, chiesi il nome del bar, la via e più o meno l’orario giusto per trovare queste delizie. E un paio di notti dopo volli testare il luogo, ci andai con Paola, ovviamente. Presi dalla vetrina il maritozzo, e lo addentai voluttuosamente, con veri mugugni di piacere, mentre Paola, che non l’aveva voluto, faceva strane facce. Uscimmo. “Ma cos’hai, cosa c’è” le dissi. “Nulla, solo che… ma non hai visto come apre i maritozzi, con cosa apre i maritozzi?” Ovviamente non avevo visto, preso com’ero dal gustarmelo. Il tizio del bar, quello alla cassa, quello che doveva essere il padrone, un losco con i capelli unticci e lunghi, insomma quello che mi aveva dato il maritozzo… aveva alla mano sinistra l’unghia del mignolo lunga almeno otto centimetri, già orribile da vedere, e con quest’unghia che ho immaginato usata anche per togliere il cerume dalle orecchie…con quest’unghia lurida apriva in due i maritozzi, con un colpo secco, per poi riempirli di panna montata. E gli avventori lo sapevano! Tutti lo sapevano, era lui l’attrazione, lui e la sua unghia. Orrore, schifo. Unghie e cornetti caldi, che binomio! Eppure. Anni prima frequentavo molto volentieri un altro posto famoso per i cornetti caldi, il forno a via Leonina, a Monti. Lo gestiva un omone “romano de Roma”, un pasticcere che faceva praticamente solo cornetti e altre brioches per le colazioni dei bar. Un’azienda di famiglia, di cui lui era adesso il capo, prima lo era stato il padre, prima ancora il nonno e prima ancora…boh. Dopo mezzanotte era una bolgia di giovani, ed io, che ero assai giovane e abitavo lì vicino ci passavo tutte le sere, ed eravamo diventati quasi amici, ed ogni tanto, quando era particolarmente incasinato e magari era solo a gestire il pubblico mi chiedeva “aoh, e damme na mano, viè a ‘nzuccherà sti cornetti, poi mettete ar banco e vennili te, che io devo infornà, ma nun te fà fregà da e pischelle, eh, fatte pagà, nun fà o scemo…” Inzuccherare i cornetti alle due di notte, distribuirli ai clienti urlanti…che casino, ma fichissimo, davvero, e poi sai quante pischelle ho conosciuto? Un mare. Come cornettaro andavo benissimo, ero anomalo, inusuale e gentile. Poi mi trasferii a Monteverde Vecchio e solo dopo parecchi mesi mi trovai a passare lì, di giorno. Il forno era sempre aperto, giorno e notte “e Maurizio, sta a riposà” chiesi al ragazzo al banco “sta ‘nvacanza” mi rispose secco. In vacanza? Maurizio? Incredibile davvero, quell’omone di mezz’età (avrà avuto al massimo cinquant’anni), semisdentato, quello specie di orco bonario e simpatico in vacanza. Non potevo crederci. Dopo un altro paio di mesi mi trovai a ripassare in zona e ci tornai “Maurizio?“ “in vacanza“ mi rispose un altro ragazzo di bottega. Qualcosa non mi tornava, tutti quei mesi di vacanza, manco Rothschild. E infatti non era andato in vacanza, ma al gabbio, in prigione, come mi raccontò lui stesso mesi dopo quando lo incontrai che armeggiava sul motore del furgone delle consegne. Mi feci raccontare tutto, volevo sapere cosa era davvero successo. Avevano avuto un figlio, lui e la moglie, il loro primo figlio e a questo bimbetto di un anno appena era venuto un giradito all’indice della mano destra. “E che lo porto dar medico daa mutua..?” mi disse Maurizio, “no, mi fijo lo porto dar Professore, mejio sta sicuri, li sordi a questo servono, a sta sicuri”. E il Professore gli aveva cavato l’unghia al bimbetto, oltre che una certa cifra non indifferente al padre. “Gli strilli che ha fatto, poro fijietto mio”, poi l’anno dopo al bimbetto gli torna il giradito, un’altra volta dal Professore, un’altra unghia cavata e un altro certo importo elargito. L’anno dopo ancora il ragazzino, ormai di tre anni, si riprende il giradito, sempre lo stesso dito indice tra l’altro. Ma non fanno in tempo a portarlo dal Professore, perché il medico di famiglia li passa a trovare, è di casa, e ammirando il ragazzino dice subito “ma non vedete che questo bimbo ha il giradito? Ma che aspettate, mettetegli un impacco di ittiolo e già da domani gli sarà passato”. E così fu, infatti e a questo punto Maurizio raccontò tutto al suo medico condotto. “Sai, nun è pe sfiducia, ma pè mi fijo volevo er mejio e così sò annato dar professore e lui…ma me spieghi…” E l’amico, comprensivo e gentile gli fece capire cosa era successo e perché. “Maurì, ma quando s’è preso er giradito era o no primavera? E tu moije l’aveva o no portato Lucianino a Colle Oppio? Ecco, a ruspà nella terra il ragazzino s’è ficcato qualcosa sotto l’unghia, s’è infettato e gli è partito il giradito, poi gli avete fatto quel servizietto di cavargli l’unghia e così il suo dito si è indebolito e l’anno successivo non era forse di nuovo primavera, come d’altronde adesso? E tu moije nun lo porta sempre a Colle Oppio quanno è primavera? ” “Quer boiaccia…” inveì Maurizio. Il giorno seguente Maurizio si recò dal Professore. “Dottò, se ricorda de mi fijo, Lucianino, er giradito…” “Ma certo”, rispose il Professore “e come sta?” “Lui benissimo” ringhiò Maurizio estraendo una tenaglia dalle tasche e avventandosi sul medico con l’intenzione di ricambiare quanto subito da Lucianino strappandogli l’unghia. Ma il Professore si divincolava urlando dal terrore e così Maurizio, insieme all’unghia, gli strappò una falange. I conti dal cornettaro si pagano, sull’unghia.