Illusioni

Il dentista che mi avevano consigliato era dalle parti di Largo Chigi, in una strada parallela a via del Tritone, insomma, il cuore pulsante di Roma. Bravo era bravo, neppure caro, ma il suo pezzo forte era l’assistente, si, l’igienista. Inguainata a fatica dentro una striminzita, castigata divisa che non poteva certo nascondere le sue grazie, un fisico incontenibile, bestiale. “ Le farò un po’ male, stringa pure la mano alla signorina…” mi sussurro il medico. Mi girai e la vidi, anzi, la fissai intensamente negli occhi. Apparivano scuri, impenetrabili, con il giusto filo di trucco e le sopracciglia naturali. Il resto potevo solo immaginarlo, e la bocca, che mi piaceva presumere carnosa, era invisibile, ben nascosta dietro la mascherina medicale. Ma l’immaginazione… “il sogno è l’infinita ombra del vero” come diceva il Pascoli riferendosi ad altro, all’eroe greco. Chiusi gli occhi. Il dentista iniziò a darsi da fare, a trapanarmi il molare, sudavo freddo, ovviamente, chi può impudentemente affermare di aver apprezzato il ronzio degli strumenti, l’odore del dente bruciato e il rumore della della saliva via via aspirata? Io no, lo ammetto, dal dentista divento fifone, senza farlo troppo vedere, ovviamente, ci tengo a certe apparenze. E poi c’era lei, anzi la sua mano morbida che stringevo sempre più forte. Mi piantò le unghie nel palmo, una sensazione davvero forte, carica di significato, quasi erotica, capace di portarmi via da quella poltrona, fuori da quella stanza, lontano…insomma, altrove. Funzionava bene il nuovo narcotico del dottore, meglio di qualunque sostanza mi avesse potuto iniettare nelle gengive, e neppure lasciava strane sensazioni in bocca, semmai poteva causare dipendenza, come puntualmente accadde. Arrivai all’appuntamento successivo con largo anticipo, ancora portavo il segno delle unghie piantate sul palmo, e non vedevo l’ora di narcotizzarmi ancora un po’ con la sua mano. Tre altri appuntamenti sarebbe durata la cura, poi un altro puramente estetico deciso dal dentista “Mi raccomando… facciamolo tornare a casa più bello di come è arrivato” La sapeva lunga il dottore, si, sapeva bene come “fidelizzare” la clientela, non era credibile pensare che fosse così ingenuo, che non capisse che, oltre alle sue indubbie doti, c’era dell’altro, ostentato e dispensato a piene mani e generosamente esibito. Tanto… Stava tutto nella mia testa? Noo, assolutamente, bastava osservare il pubblico in sala di attesa, composto da una maggioranza schiacciante di maschi. Solo una volta o due mi è capitato di incontrare una signora, e un’altra volta un ragazzino, in attesa dell’appuntamento. Chissà se il copione era sempre lo stesso per tutti, se la stretta e le unghie conficcate nel palmo erano volute, studiate a tavolino, un ben riuscito trucco, puro marketing, oppure un caso, una rassicurante improvvisazione per ovviare al mio evidente disagio, alla fifa. Me lo sono chiesto spesso, ma preferivo pensare di essere l’unico ad avere il privilegio del trattamento “speciale”, gli altri no, erano solo banali pazienti, comunque in ammirazione della bella assistente. Impossibile far finta di nulla, snobbarla, ignorarla, ma soprattutto, perché? Ma le unghie no, quelle le pretendevo solo per me e volevo esserne certo. In sala d’attesa, ogni volta che mi ci trovavo, passavo il tempo a scrutare attentamente le mani dei clienti, cercando le tracce, i segni lasciati dalle unghie. Geloso? Forse, di cosa poi? Il fatto è che l’essere unici è una pretesa, tipica di certe persone, un po’ egocentriche, vanitose, come potevo essere io, quarantenne immaturo e infantile. Certo, illudersi, ogni tanto, è pure salutare, fa bene, migliora l’autostima, rassicura, rende sereni e rilassati. E io avevo assoluto bisogno di essere rassicurato, la mia compagna di allora, che pure amavo appassionatamente, era parecchio stressante, un rapporto malato, amore/odio, litigi continui, stress. E imposizioni, troppe imposizioni. Arrivai al quarto appuntamento con una mezz’ora di ritardo, così persi il mio turno, trovai lo studio occupato e mi fu chiesto se mi era possibile rinviare la pulizia dei denti all’ora successiva, praticamente all’ora di chiusura. Non potevo non accettare, così gironzolai per Campo Marzio un’oretta abbondante e quando tornai allo studio c’eravamo solo noi due, io e l’igienista. E no, le unghie piantate nel palmo non erano una tecnica, erano un segnale, un invito. Solo per me.

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