Luminescenze

Il primo pensiero al mattino, l’ultimo quando già la testa era sul cuscino e gli occhi mi si chiudevano dal sonno. Impegni di lavoro, associati a cattivo tempo mi avevano costretto a lasciare Soffio, il mio adorato sesta classe, nel Porto Romano di Ventotene, un riparo sicuro e soprattutto, a quei tempi, totalmente gratuito. Ma non ero sereno, chi avrebbe controllato gli ormeggi? E se fosse arrivata una buriana, se un pescatore, manovrando nello strettissimo porto l’avesse danneggiata e causato una falla? Era fragile Soffio, costruita per essere leggera e veloce, tutta in lamellare di mogano. Non ci dormivo più, ogni notte mi svegliavo alle tre del mattino completamente sudato e in preda ai peggiori pensieri. Presi il coraggio a due mani e affrontai la cosa di petto. Eravamo a fine settembre, quasi l’ultima occasione per andarla a recuperare prima che iniziasse l’autunno e che il freddo rendesse spiacevole la traversata. Fortunatamente il meteo si era stabilizzato al bello e riportarla a casa era quindi cosa facile, a portata di mano. Una buona bottiglia, una cenetta sfiziosa e i miei amici, Bibi e Peter, accettarono con entusiasmo lo scampolo di vacanza in barca tutto a mie spese. “ senza fretta e stress, però” puntualizzò Peter, che di faticare proprio non aveva alcuna voglia “ Si, appunto, facciamo una settimanella” rilanciò Bibi, che in qualità di libero professionista, architetto appunto, faceva un po’ il comodo suo… “ e alla cambusa ci pensi tu, nevvero? E il vino lo portiamo da casa, hai ancora quelle bottiglie di Custoza che ci hai fatto assaggiare, no? Con il pesce vanno giù che è un piacere”.  Portiamo? Perché usare il plurale, il vino era il mio ed ero sicurissimo che anche il peso delle bottiglie lo avrei portato io, come infatti fu. Due lazzaroni i miei amici, ma mi stavano comunque aiutando, e cosa avevo da lamentarmi? Nulla!  Due giorni dopo eravamo ad Anzio, appena in tempo a vedere  l’aliscafo uscire dal porto. Eravamo arrivati in ritardo, come ti sbagli? “E adesso che facciamo? Rinunciamo, torniamo indietro? “ domandò Peter, che era già stanco “ ma niente affatto”, ribattè Bibi, “ci sarà pure un altro collegamento con l’isola, non vi pare?  e non ho alcuna intenzione di rinunciare a questa vacanzetta offerta dal Blasi”. Si, altri collegamenti con Ventotene  c’erano ma non erano quotidiani a fine settembre, anzi solo settimanali, l’unica possibilità sarebbe stata  arrivare a Formia e prendere la nave. “Prendiamo un taxi e andiamo a Formia, paga Blasi” rilanciò Peter, sempre grandioso con i soldi altrui. Scoprii che la nave da Formia sarebbe partita lo stesso giorno, bisognava fare in tempo, ma in taxi no, troppo costoso per me. Serviva immediatamente una via d’uscita, distogliere l’attenzione dal taxi “Mangiamo qualcosa? Avrei una fame… abbiamo tempo e qui dietro conosco un posticino… “ Cercavo ovviamente l’approvazione per il cambio di programma. “Si, si, mangiare, ma non una pizza, un pasto vero”. Peter non molla mai, pensai, ma va bene così. “Mi sono scofanato lo spaghetto alle vongole più godurioso che mai nella vita…” mormorava Bibi tenendosi la pancia mentre arrancavamo frettolosamente verso la stazione. Un treno c’era, treno regionale recitava l’orario, in realtà una tradotta, una vera tradotta, tre ore e un cambio di treno per fare 80 km!  Si fermava ovunque, in campagne sperdute, luoghi ameni ad alta vocazione turistica, Campo di carne, Borgo Pasubio… Dio solo sa come abbiamo potuto arrivare in orario, ma arrivammo. Il mattino successivo eravamo già in acqua, rilassati, l’isola semideserta era assai ospitale, il mare piacevole, caldo. “Un angheria della natura, l’isola del diavolo” era stata definita da un ex carcerato. Come dargli torto? Certo a noi appariva in tutt’altra veste, un’isola incantatrice e generosa, aspra e profumata, ma mentre eravamo già persi in queste emozioni Peter sbottò “ Che dite, avrei un certo appetito, mangiamo qualcosa? “ Sapevo già dove sarebbe andato a parare, l’aveva accennato a tavola la sera in cui aveva accettato il ruolo di marinaio, e andammo da Benito, giù in quella specie di grottone dove in una griglia magnificamente  organizzata stavano per atterrare tranci di ricciola e calamaroni appena pescati. Ci accolse amichevolmente Benito, “ sei sempre tu a pescare  ricciole?” chiesi indiscreto “ e che sono pazzo a comprarle? Il mare è pieno di ricciole fameliche, sempre pronte a mandare giù un delizioso amo.  Certo che le pesco io, e che potrei tenere questi prezzi se le comprassi, e poi da chi? Qui sono io solo che ne prendo quante ne voglio, gli altri… una volta no, un’altra volta neanche… “ Non era affatto a buon mercato, il Benito, ma la grigliata… davvero sublime. Mi costrinsero ad andarci  tutti i giorni, pranzo e cena, tanto era tutto pagato “ Sei tu l’armatore, no? E allora…” era il refrain ad ogni mia perplessità. La vacanzetta mi stava costando uno sbiosso, decisi di ripartire, mentendo spudoratamente. “Il meteo sta cambiando, meglio che rientriamo a Fiumara “ ovvi gli sbuffi “ Ma dai, di già, stavamo tanto bene…” In ogni caso all’alba ripartimmo, vento zero o appena appena una brezza. “ Ma sei sicuro che stia arrivando un tempaccio? Mi sembra proprio che il tempo sia stabilmente bello, e poi a vela ci metteremo un eternità “ dissero i due improvvisandosi metereologi. Ma ormai era troppo tardi per ripensarci, eravamo al largo, ben oltre punta eolo e ci aspettavano almeno 54 miglia di navigazione per arrivare ad Anzio, forse un’ottantina per Fiumicino. Avevo spento il fb (un whitehead da 6 hp) e stavamo veleggiando quasi immobili alla strabiliante velocità di 2 nodi, ci avremmo davvero messo un eternità ad arrivare a Fiumicino, solo una vita ad Anzio e quindi rotta 311 sul porto di Anzio. Niente stress, niente fretta, erano le nostre parole d’ordine. Così fu, niente imposizioni. La giornata proseguì paciosa, lenta, tranquilla,  Bibi immerso nella lettura, la testa comodamente appoggiata su un cuscino, di tanto in tanto aveva appetito, quindi mollato il libro  scendeva sottocoperta, a preparare stuzzichini sfiziosi, formaggio, salame, tarallucci e calici di Custoza per tutti ovviamente, così secondo lui si sarebbe risparmiato i turni di timone, due ore ciascuno, che, io e Peter ci scambiavamo. E arrivò il tramonto, e dopo di lui il buio. “ Bibi, è il tuo turno di reggere il timone, devi recuperare anche quelli che hai saltato oggi” gli dicemmo perfidamente all’unisono. “ Come adesso? Con il buio? Ma è umido, freddo, ho la sinusite…”  Non ebbe scampo, e prese la barra, mentre .mancavano ancora parecchie ore ad Anzio, la brezza, era crollata e le vele si erano afflosciate. Eravamo fermi, immobili. “ Calate e legate le vele, io accendo il motore” comandai. Poi restituii la barra nelle mani di Bibi. Nella notte stellata si sentiva soltanto l’urlo del nostro rumoroso fuoribordo, il buio era totale, solo il mare, la nostra scia, si accendeva delle mille lucine degli organismi bioluminescenti, e lontano,  molto lontano, il nero orizzonte era spezzato dalle luci delle lampare, pescherecci intenti alla pesca di alici e sardine. A mezzanotte, finalmente, eravamo in porto, ormeggiati ad Anzio. Bibi con un asciugamano arrotolato sulla testa che pareva un Sikh … “ Che dite, ma se ci prendessimo un cappuccino caldo, caldo? I bar sono ancora aperti. Paga sempre Blasi, ovviamente.”

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