Arte randagia

Fu lì, in fondo a via Panisperna, sulla destra, appena prima dell’incrocio con via Cavour, che lo vidi la prima volta. Era attaccato con del nastro scotch ad una saracinesca. Mi incuriosì, scesi dalla macchina, lo osservai con attenzione, c’era qualcosa che mi attirava in quel rettangolo di cartoncino, forse i colori, oppure la particolare composizione del disegno. Mi guardai intorno, erano da poco passate le due del mattino. Nessuno. Staccai delicatamente il nastro che lo assicurava alla serranda e tornai in macchina. “Guarda, non è bellissimo?” dissi alla ragazza che mi accompagnava “che strano, un disegno così interessante lasciato attaccato ad una saracinesca”. Lei lo guardò appena, aveva sonno, avevamo avuto una lunga e durissima giornata di lavoro e la stavo accompagnando a casa “Sì, sì, bellissimo… ma dai, adesso andiamo, portami a casa, mi si chiudono gli occhi”. Non lo sapevo ancora, ma avevo fatto il primo passo verso una speciale ossessione che mi catturò per i mesi a venire. Tornato a casa, cioè a Somaini, il mio studio in via Portuense, appoggiai il disegno su un tavolo e non ci pensai più. Quella notte feci degli strani sogni, a colori cupi, delle paperelle in un canneto, le rive di un fiume, un lago… nulla di preciso, anzi, mutevole, come sono i sogni. Dopo il caffè ritrovai il cartoncino, “ecco cosa sono… paperelle, sono delle paperelle” la notte non ero riuscito a vederle, mi ero fatto prendere dai colori, dal cupo dei colori, ma adesso, di giorno, le vedevo, tre paperelle in mezzo alle canne. Presi il disegno e lo misi nel cassetto dei fondalini di carta, al sicuro. A studio girava troppa gente e lasciarlo sul tavolo sarebbe stato imprudente, magari qualcuno meno sensibile l’avrebbe preso, accartocciato e buttato nel secchio. L’ossessione è come un pitbull, una volta che ti ha morso non ti lascia più, così, notti dopo tornai a via Cavour e trovai un’intera esposizione di “opere” appese alla saracinesca di una libreria. E l’autore era lì, seduto sul bordo del marciapiede, circondato da un paio di clochard insistenti e petulanti che gli chiedevano aggressivamente soldi. Manco fosse un riccone, era anche lui un senzatetto, o almeno così sembrava. Quella notte pioveva e gli acquerelli sotto la pioggia colavano giù righe colorate, che su certi “ritratti” aggiungevano un che di drammaticità, sembravano lacrime. Li trovai bellissimi, concordai un prezzo e me ne portai via più di qualcuno. Mentre andavo via sentivo i due clochard sempre più aggressivi chiedergli ancora i soldi, volevano dividere il “bottino”, lo pretendevano, minacciavano. Uscì un barista, e li cacciò via, in malo modo. Carlo, così si chiamava l’autore, era la mascotte di via Cavour, la cartoleria gli regalava i cartoncini invenduti, i colori e i pennelli difettosi, qualcun altro gli offriva il cappuccino e altri ancora la pizza. Era mite, pacifico e, ne sono certo, dotato. Un artista? Chissà, forse, qualcuno mi ha detto che un artista può anche essere pazzo, ma un pazzo non potrà mai essere un artista. L’unico caso in cui cambiando l’ordine degli addendi il risultato è diverso. Tornai spesso a trovarlo, a comprargli dei disegni e presi a parlarci, si fidava di me come di tutti, credo, e mi raccontava dei suoi personaggi, gente che incontrava in zona, situazioni, due ragazzini con il casco da moto, la vecchietta conciata da sedicenne, che lui definiva “la befana”, due innamorati… la gente al mare. Il suo mondo, la sua dimensione di realtà, di vita. Poi un brutto giorno sparì, non ne seppi più nulla. Mi restano i suoi disegni, i suoi personaggi, il suo mondo. Ho detto “mi restano?” sbagliavo. Ci restano, eccoli.

2 pensieri riguardo “Arte randagia

  1. Belli davvero, Enrico.
    Sei più tornato a chiedere? Barista? Carlolibreria? Altri?
    Ma di che anni parli? Io dopo via Crescenzio avevo studio a via in Selci, ma forse erano altri tempi: lo avrei notato.
    Ciao

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    1. Se vedi bene i disegni c’è la data, sono tutti tra il 1996 e il 1997. Ho chiesto a tanti, non a tutti.Nessuno ne sapeva nulla. Scomparso.

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