1799, nascita di un’amicizia

Poggio Moiano, Teatro Vicolo Primo, dicembre 2007, un uomo solo sul palcoscenico, una scena scarna, essenziale. Zoppica vistosamente, ha in mano una valigia, ci racconta di un treno perso. Quale treno lo scopriremo presto, nei 90 minuti, durante i quali siamo rimasti come inchiodati alla sedia, tormentandoci le mani, il respiro corto. Stavamo davanti alla storia di un popolo, di due fratelli, di un gruppo di idealisti, ma anche alla cecità di una massa di straccioni laceri che, invece di aderire con entusiasmo alla rivoluzione portata a Napoli dai giacobini, al contrario si sono fatti strumento dei sanfedisti, del Cardinal Ruffo e dei Borbone e si sono opposti, armi in pugno, strenuamente al cambiamento che sembrava fatto su misura per loro, per il popolo sfruttato e ignorante. Una rivoluzione che non c’è più stata, ma che sarebbe dovuta essere. Non un comune, banale spettacolo, quindi, ma la Storia, quella con l’iniziale maiuscola. Difficile trattenere le lacrime, per l’atroce sorte di Lucio e di suo fratello Salvatore, commuoversi e indignarsi per l’impiccagione di Eleonora Pimentel e di tutta quella schiera di sognatori, trucidati da una folla festante sul luogo delle esecuzioni, la pubblica Piazza del Mercato. Tutto avevo registrato, tutto, con due telecamere, ma inutilmente, non ce n’era proprio bisogno, era già tutto in me, metabolizzato, parola per parola, un colpo al cuore e uno alla testa. Eleonora Pimentel, l’ammiraglio Caracciolo, il giurista Mario Pagano, il medico Domenico Cirillo, il perfido cardinale Ruffo, i capi lazzari, Alichino, Calcabrina, Barbariccia e Malacoda …  non li avrei dimenticati più. Come non avrei più dimenticato quella valigia dalla quale, a fine spettacolo, l’anima di Lucio ascende al cielo. La conoscenza con Alfonso, l’attore, era iniziata per caso, pochi mesi prima. Era quasi estate e avevo ricevuto quello strano invito a pranzo con le indicazioni per raggiungere un casale sperso tra le colline dietro Farfa, anzi, per essere più precisi, tra Granica e Castelnuovo. Chi ci aveva invitato era un attore di una certa fama, un uomo di grande talento artistico, ma chiacchierato, come se avesse, oltre il talento, un carattere difficile, sempre pronto a inalberarsi per un nonnulla, oltretutto con  la pessima tendenza a voler dominare le persone, a schiavizzare chi gli sta vicino. Arrivammo all’appuntamento piuttosto puntuali, un amica ci aveva messo in guardia “ Stai attento, qualcosa avrà in mente, se ti ha invitato, non ti fare mettere in mezzo, non ti fidare…”. L’arrivo fu complicato, ma la casa ci accolse affabilmente, il posto era davvero bello, lontano da tutto, il casale  adagiato su un piccolo poggio, tra due colline coperte di oliveti e grandi querce. Un panorama rilassante e morbido, un posto ameno. La tavola era apparecchiata sotto il portico, nell’interno, le tinte calde del legno e del cotto dei pavimenti, insieme al resto dell’arredamento, alle luci soffuse, risultavano assai rilassanti. Stavamo assaporando i profumi delle ginestre in fiore quando una voce proveniente dalla cucina ci colpì come un tuono “ Alfonso, fai gli onori di casa”  quasi immediatamente un giovane di bell’aspetto si precipitò fuori e ci fece accomodare. Esibiva orgogliosamente una importante scapigliatura, un po’ da pazzo e, tra una serie di risate argentine e frasi di benvenuto che tradivano, anzi, ostentavano la sua origine napoletana, si presentò, e, come benvenuto, ci riempì i calici, come si usa fare tra vecchi amici. Ci stava inondando di parole il giovine affabulatore, quando fu bruscamente richiamato all’ordine dal padron di casa “Alfonso, lasciali in pace, tranquilli, e vieni ad aiutarmi in cucina. Immediatamente, è quasi pronto”. Non erano ammesse repliche, evidentemente. Il resto della giornata fu come da programma, un ottimo pasto in buona compagnia, arrivarono anche altri ospiti, apparentemente legati al padrone di casa da rapporti di lavoro. Non avemmo molte occasioni di conversazione con il giovane napoletano, ma di tanto in tanto ci scambiavamo delle occhiate di complicità a certe affermazioni, stranezze e assurdità, che sentivamo a tavola. E’ sempre così, le amicizie nascono per caso, poi però si approfondiscono, per scelta, il caso è solo una scintilla, la prima. E che quel giorno sia nata un’amicizia è stato subito chiaro a tutti.

2 pensieri riguardo “1799, nascita di un’amicizia

  1. Che bello amico mio. Ripeto, scrivi proprio da DIO!!!

    Però sono un po’ – ma solo un po’ – geloso perché potresti anche scrivere la nostra fantastica storia che va avanti indissolubilmente dal lontano 1991 ….

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