
Adolescente, passava gran parte del suo tempo ad osservare le stelle dal tetto del mio studio a Somaini, calpestando la guaina e facendomi imbestialire ogni qual volta la pioggia penetrando a causa dei danni provocati dalle sue passeggiate arrivava a gocciolare sul set appena allestito. Inutile incazzarsi con lui, ogni strillo, ogni rimbrotto gli scivolava addosso, come fosse rugiada. Arrivai a impedirgli di scendere, imprigionandolo sul tetto. Niente da fare, e poi non era sempre solo, c’era spesso una ragazza con lui, e dopo mille incazzature decisi di lasciar perdere e salii anch’io sul tetto, a trattare. Trovai due romantici, gli occhi sognanti, i pensieri persi tra le galassie, ecco cos’erano veramente, come avrei potuto fermarli, farli ragionare? Impossibile! E lasciai perdere. Trentacinque anni dopo lui non è cambiato molto, sempre lo stesso, lo ritrovo in Sabina, su un prato ancora una volta disteso schiena a terra ad ammirare le stelle, accanto una bella ragazza americana, anche lei artista, sognatrice quanto basta ed evidentemente turbata dal bel brunetto che ha accanto. Purtroppo per lei tutto l’interesse di lui è nella Via Lattea, nel Gran Carro, nelle stelle cadenti. E infatti lui si addormenta profondamente, mentre noi discretamente e in punta di piedi ce ne andiamo più lontano. Una fuga forse, quella del bel romanticone, per evitare l’implacabile corte della graziosa americana, ma senza offenderla, senza dirle apertamente di no. D’altronde lui aveva già un’altra. Ai tempi di Somaini, anche quando non saliva sul tetto del mio studio, non l’apprezzavo l’adolescente artista, sempre schivo, silenzioso, perso nei suoi pensieri, ai miei occhi solo insopportabilmente superbo, indisponente e menefreghista. Il comune amico Bibi, però, riuscì a metterci una buona parola, a risolvere l’incomprensione, “Perché non ti fai dare una mano da lui, è pura energia, instancabile, tranquillo e poi non ti romperà mai le scatole” . Frase che causò un immediato quanto imbarazzante silenzio, una cappa pesante, rotta solo dalla mia immediata risposta “ma chi, quello…?” e Bibi bruscamente, “sì, quello che sta scavando una piscinetta nel mio giardino, è fortissimo, vedrai, una sorpresa” Non avevo altre possibilità, nessuna alternativa e fui costretto a impegnarlo per quel lavoro. Non me ne pentii, era veramente come Bibi lo descriveva. Il mattino successivo, di buon ora, caricammo rapidamente l’intero stand sull’Iveco, un veloce inventario degli attrezzi necessari al montaggio e via, partimmo, destinazione la Fiera di Bastia Umbra. All’altezza di Todi, alcuni sconvolgimenti, semplici movimenti tellurici del mio stomaco, suggerirono una fermata strategica da Cibocchi. Siete mai stati da Cibocchi? Quella ruspante trattoria sulle colline dietro Todi? Beh, quella volta ne valse davvero la pena, prosciutto paesano, torta al testo, fettuccine al sugo d’oca, scottadito, faraona… insomma finì in un banchetto. Gli brillavano gli occhi, all’artista, che finalmente si svelava per quello che era, una “cannavota”, come vengono definiti a Roma certi individui di forchetta veloce e implacabili mangiatori. E devo riconoscere che mi era diventato improvvisamente più simpatico il giovane Mandigola, come ben lo definì anni dopo Katharina, un’altra divoratrice seriale con cui avremmo negli anni diviso pranzi e cene. E fu l’inizio di un sodalizio, di un amicizia, in cui non sono mai mancate stima e collaborazioni, ma anche litigi e incomprensioni alimentate probabilmente da reciproci egoismi, da profonde diversità di vedute, in ogni caso un’amicizia che posso definire, finora inossidabile. Sì, l’artista è un soggetto inafferrabile, silenzioso, un sognatore, quindi capace di incasinarsi la vita con le proprie mani, per imprevidenza, per totale mancanza della capacità di valutare le conseguenze delle proprie scelte. Distratto all’inverosimile su faccende quotidiane, fino ad arrivare (orrore) a dimenticare di mettere il sale nell’acqua della pasta, eppure capace di un’incredibile concentrazione e totale dedizione alle opere che sta creando. “Toh, si è rotto” è l’esclamazione più forte con cui l’ho sentito commentare un danno irreparabile subito da una sua opera nel preciso momento in cui la stavano imballando. Avete capito di chi parlo, vero? Beh, spero di si, in ogni caso eccolo: https://giacomotringali.com/.