
Mi aveva chiamato che era già buio “vieni subito, ti devo parlare”. Come potevo deluderla? Eravamo amici, giovanissimi entrambi e un po’ disturbati, anzi meglio, turbati con il resto del mondo. Mi aspettava dietro la porta, appena sentì i miei passi apri subito “non c’è nessuno stasera, le due streghe sono fuori, è sabato”. Era agitata, fuori di se. Odiava la madre e sua sorella e tutto quello che poteva ricordagliele. Non ho mai capito il perché, non mi sembravano due persone terribili, ostili, che la trattassero male, forse era solo un odio per chi avesse su di lei una qualche autorità. Problemi adolescenziali quindi e infatti lei era la sorella piccola, appena quattordicenne. Mi aggredì subito “a proposito, quella stronzata che mi hai raccontato…” “cosa? Quale stronzata?” replicai immediatamente. “Non fare il finto tonto… che le donne hanno come un piccolo cazzo dentro… Non è vero, non ho trovato nulla, e ho cercato bene, dappertutto. Mi dici dove l’hai letto? Mi sono pure cosparsa la mano di Badedas, per renderla più scivolosa… Mi fa ancora male, brucia, questo accidenti di bagnoschiuma brucia, altroché”. L’avevo letto da qualche parte, ma forse non avevo capito, ero piccolo come lei, che ne sapevamo degli organi genitali, nulla, non sapevamo proprio nulla. Comunque non era per questo che mi aveva convocato, voleva farmi partecipe della sua vendetta trasversale sul cocco di casa, il porcellino d’india, un criceto bianco e beige di sua sorella ventenne, adorato e coccolato anche dalla madre. Lo tirò fuori dalla gabbietta, era mite, tranquillo, prese ad accarezzarlo rabbiosamente, poi lo ficcò nel forno elettrico e accese. “No! Dai, non farlo, poveraccio” dissi subito, ma non intendeva ucciderlo, solo tormentarlo “tranquillo, stai tranquillo, lo faccio sempre quando resto sola, ecco, adesso lo salvo e lo rinfresco” e lo ficcò nel freezer. Non volevo essere testimone di un criceticidio, e la pregai di smetterla, con il solo risultato di renderla ancora più crudele. “Dai, ma che ti ha fatto di male, sta tranquillo nella sua gabbietta, mastica i suoi semini…” Dopo alcune sequenze caldo/freddo decise che per quella sera poteva bastare, si era calmata. Prese il criceto lo spazzolò ben bene e lo ripose nella gabbietta, nessuno si sarebbe accorto di nulla. Il criceto riprese a masticare nervosamente. “Sai che mamma ha un amante? Lo vede una o due volte a settimana, mai di più. Lo so, me ne accorgo, prima di ogni incontro è sempre molto nervosa, scorbutica, poi il giorno fatidico si mette in ghingheri e dopo, al rientro, diventa buona, sorridente, mi fa tante carezze, mi porta delle cose, dei regali… la odio, li spacco sempre tutti, i suoi kzz di regali, li schiaccio sotto i piedi, li brucio. E sai dove abita questo amante? proprio qui sopra, questo ipocrita, al terzo piano…con moglie e figli. Tre figli, capisci? Un pezzo di merda, ecco cosa è, un pezzo, neppure una merda intera, uno schifoso pezzetto di cacca putrida” Non ho mai saputo dove fosse il padre, una volta mi disse che stava scontando l’ergastolo, che aveva ucciso qualcuno in una specie di duello, un altra che era moribondo in Alaska, che era andato a caccia di non so che cosa, e che per sfuggire ad un grizzly era scivolato giù per un dirupo in un fiume ghiacciato battendo più volte la testa fino a spaccarsela. Adesso a sentir lei starebbe ancora in coma profondo in una clinica specializzata, sempre in Alaska. Mah, difficile crederle. Con un gelato in mano riprendemmo il discorso sui genitali, sulle differenze di genere, quando improvvisamente sentii una chiave girare nella toppa, si era fatto tardi, non volevo farmi trovare lì e scappai correndo in giardino e sempre di corsa scavalcai con un salto il muretto, come il tizio di Olio Cuore, dimenticandomi che il muro di cinta da un lato era a livello strada, ma dall’altro a tre metri dall’asfalto. Si fece male solo la capote della spider su cui precipitai. Ed era dell’amante del terzo piano, che ridere.