L’Ultima donna…le ultime polpette, i problemi.

Ispettore di produzione, e per amicizia, assistente allo scenografo, Michel De Broix, che essendo francese aveva poca dimestichezza con Roma e con il suo solito, eterno caos. Portavo sempre con me in tasca la mia fedele Leica IIIf e, all’occasione, scattavo le foto. Direttore della fotografia era Luciano Tovoli, sua moglie la fotografa di scena. Giravamo alla Safa Palatina, gli studios davanti all’ospedale militare del Celio e la cosa che più mi esaltava degli studios erano le fantastiche polpette di bollito che preparavano alla mensa, poi anche il fatto di stare al centro di Roma. I due attori protagonisti, invece, erano sinceramente ostici e in competizione tra loro, come spesso capita. Iniziò Depardieu, che non aveva voluto stare in albergo, bensì un appartamento lussuoso ed enorme ai Parioli, a via Lima, perché aveva bisogno di avere intorno i suoi affetti, gli amici, insomma fatti suoi. Mi chiamò alle due di notte, agitato “vieni subito, c’è un serio problema…” ovviamente andai, lo trovai in piedi, seminudo con un asciugamano a mo’ di pareo intorno alla vita. Cos’era successo? Un rubinetto di uno dei tre o quattro bagni della casa gocciolava, poco, ma la goccia cadeva, spesso, e lui pretendeva una soluzione immediata, un idraulico a quell’ora di notte. Non poteva sopportare oltre di sapere che la goccia sarebbe caduta e sapere che avrebbe dovuto “sentire” questo fastidioso, odioso, suono non lo faceva dormire. Era il 1974, avevo ancora un carattere indomito e  politicizzato, lo affrontai di petto, misi un asciugamano piegato nel lavabo sotto il rubinetto incriminato, e lo invitai duramente ad utilizzare un altro bagno, e a non chiamarmi più in orari simili. Lui, che era appena divenuto celebre grazie al film “Les Valseuses”, si stava vendicando su di me di tutto quanto aveva dovuto subire prima della celebrità. Me lo dichiarò sinceramente, così di getto e d’un fiato, come se vendicarsi su una categoria, la produzione, fosse la cosa più normale del mondo. Comunque finì lì, da quel momento in poi diventammo “colleghi” e quasi “amici”anche se lui era la star e io la piccola ruota dell’ingranaggio che mandava avanti il film. Arrivò anche il turno della Muti, che  cercavamo di tenere serena consentendole orari comodi, mai prima delle otto del mattino. Tutto inutile, arrivava al trucco già stressata dalla nuova giornata da affrontare…da Depardieu e dai toni accesi di Ferreri. Spesso il problema su cui si concentrava era la qualità del make up, e dire che Chico Gola, il truccatore, era parecchio esigente in fatto di qualità. Un altra volta il problema era la biancheria intima di scena, che rigorosamente doveva provenire da una famosissima boutique di Piazza in Lucina. “Pronti a girare tra 15 minuti”, Marco aspettava quasi ogni giorno, impaziente, che uscissi dal reparto trucco e pronunciassi queste rassicuranti parole. Ci fu poi un’altra crisi, ma questa personale e mi toccò risolvermela da solo. In una scena del film Michel Piccolì doveva apparire con una ragazza americana. Ferreri chiese per questo ruolo Daniela Silverio, la mia compagna di allora, che volentieri, molto volentieri, accettò. Ma Marco la  trasformò in una macchietta, un’americana oca travestita da travestito…Daniela era bella, bellissima, anche così conciata, ma non potrò mai dimostrarlo, le poche foto che feci durante le riprese, ovviamente dei “fuori scena” andarono perse insieme a tutto il mio personale archivio che lasciai imprudentemente ai Cavicchioli. Tutte, tranne quella che pubblico su questo ricordo.

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